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Il pascolo ameno |
"Polledrara": che sarà mai? Non una batteria di polli, come si potrebbe pensare, ma, come apprendiamo da Vecchio Lazio: i vocaboli delle pratiche colturali di Ugo Gualazzini, una riserva di pascolo, ovvero una porzione di prato racchiusa da una staccionata, destinata all'allevamento dei puledri e detta anche "puledrara". C'era una volta a due passi da Roma una polledrara in via di Cecanibbio, altro toponimo che racconta una storia: doveva esserci un corso d'acqua, ci suggerisce Simone Ceccobelli, sorvolato dal caratteristico volo del nibbio bruno (Milvus migrans) alla ricerca di cibo trasportato dalle acque rilucenti. Là dove c'era l'erba ora c'è un capannone degno di contenere il suddetto allevamento di polli in batteria e che invece, a dispetto delle apparenze, è stato destinato a ben più alti e meno remunerativi scopi: proteggere dalle ingiurie del tempo il certosino lavoro di scavo di un gruppo di ricercatori paleontologi.
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A dispetto delle apparenze non contiene polli, né una fabbrica di formaggi |
Scavando e setacciando minuziosamente tonnellate di terra, i sapienti eredi di Homo heiderbergensis primo presunto occupatore bipede del sito, hanno riportato alla luce il miracoloso dono dello scorrere e ristagnare delle acque di un antico fiume: uno straordinario deposito di ossa di animali preistorici, tra cui l’elefante antico, il bue primigenio, il lupo, il bufalo e altri grandi mammiferi, risalente a 300.000 anni fà (Pleistocene) più i resti della prima presenza di branchi umani dediti allo sciacallaggio.
Il posto è tanto affascinante quanto deludente la visita: dopo i primi dieci minuti i bambini già trafficano con le patatine; gli adulti tengono duro, ma la staticità coatta costringe i deboli di schiena e gambe allo scoccare del dodicesimo minuto a rimediare un parcheggio di fortuna per il fondoschiena. Quando poi ci si sposta lungo la passerella che domina dall'alto lo scavo, il gruppo è troppo numeroso perché tutti possano seguire il piccolo puntatore laser della guida, che pure dispensa una quantità enciclopedica di dettagli anatomici sui reperti.
Le potenzialità educative del sito sono notevoli e meriterebbero di essere pienamente realizzate, sia per valorizzare l'enorme lavoro dei ricercatori, sia per far sì che i fruitori ne ricavino un'esperienza culturale profonda e appagante, nella quale cioè la disposizione di un mucchio di giganteschi resti di animali da tempo cancellati dalla faccia della terra riveli insospettabilmente in che maniera può essere utile nella vita quotidiana del pizzaiolo come della commessa del terzo millennio. L'atmosfera lunare e fuori dal tempo non si dimentica, ma non basta. La bella ricostruzione a piena parete del paesaggio e della fauna del sito originario, avrebbe stupito la bambina che ero e che in pieni anni Ottanta era solita sprofondare per ore nelle immagini del libro illustrato, non certo i bambini di oggi. Nemmeno la grande competenza tecnica della guida è sufficiente a tenere a lungo desta l'attenzione. Così presto diventa un sottofondo appena percettibile, tra il rumore dei pensieri e il calpestìo dei bambini che corrono. Aspettiamo con speranza che, come già si fa per alcuni beni archeologici, la grafica computerizzata faccia rivivere il sito a tre dimensioni. Ma se ne può benissimo fare a meno, finché si riesce a dare spazio al divertimento e all'immaginazione e non ci si limita a condurre le visite alla vecchia maniera dei puledri al pascolo.
Questo sito archeologico è particolarmente interessante,ma visto con gli occhi di un bambino di oggi forse può apparire non molto esaltante perdendo così di significato.
RispondiEliminaL'introduzione di una ricostruzione in 3D del sito archeologico sembra purtroppo l'unica possibilità per far conoscere questo luogo in modo più ampio non solo ai bambini ma anche agli adulti che molto spesso considerano il tutto come una semplice scampagnata
Sono stata a visitare la Domus Romana a Palazzo Valentini e la ricostruzione computerizzata di quanto emerge da uno scavo, che per lo più si presenta monocromatico e statico, è di sicuro effetto: l'idea del resto è di quel mostro della divulgazione scientifica che di nome fa Piero Angela.
RispondiEliminaTuttavia la mia riflessione voleva andare a parare più che altro sul fatto che, al fine di una comunicazione efficace, l'investimento tecnologico rappresenta solo una possibilità (la più costosa), ma non l'unica. Basterebbe riuscire a dare più spazio alla passione. Come quando il paleontologo ha accennato alle controindicazioni del suo lavoro: i dolori alle ossa. Parlare con voce umana insomma. E che ben vengano le scampagnate.
Le potenzialità di un sito del genere sono effettivamente enormi ma non si sa bene quando ci sarà la possibilità di veder applicate in tal caso tecniche e tecnologie al servizio della didattica a vari livelli. Questo sito paleontologico, infatti, è ancora un cantiere in continua evoluzione e anche se lo strato più profondo da raggiungere nelle operazioni di scavo è vicinissimo, moltissimo dipenderà dai fondi che verranno dedicati alla valorizzazione del tutto.
RispondiEliminaPer quanto riguarda la tipologia attuale di visita proposta, che dire, la guida è una persona (parlo del direttore dei lavori che anche l'unico referenziato a guidare i visitatori nei fine settimana) e come tale ha degli alti dei bassi d'umore, in altre occasioni ho avuto modo di spassarmela ascoltando i sui racconti su vicende, umane e non, legate alla storia del sito in questione... Senza contare che portare avanti una visita guidata per un gruppo molto eterogeneo (nella giornata della visita di cui stiamo parlando si andava dai 4 agli 80 anni) di visitatori è un'impresa ardua, specialmente con il mormorio e i rumorini/oni vari che i bimbi in gruppo riescono comunque a fare.