"Abbiamo in noi quattro vite successive, incastrate l’una dentro l’altra. L’uomo è un minerale perché ha in sé lo scheletro, formato da Sali e da sostanze minerali; attorno a questo scheletro è ricamato un corpo di carne, formato di acqua, di fermenti e di altri Sali. L’uomo è anche un vegetale, perché come le piante si nutre, respira, ha un sistema circolatorio, ha il sangue come linfa, si riproduce. È anche un animale, in quanto dotato di moralità e di conoscenza del mondo esterno, datagli dai cinque sensi completata dall’immaginazione e dalla memoria. Infine è un essere razionale, in quanto possiede verità e ragione. Dobbiamo quindi conoscerci quattro volte" (frammento della scuola pitagorica - Crotone - 530 a.C.)
"Le quattro volte", di Michelangelo Frammartino, film documentario ambientato in tre antichi centri urbani ad economia rurale della Calabria (Serra San Bruno, VV, Caulonia, RC, e Alessandria del carretto, CS) ci invita (tanto sommessamente, quanto tassativamente) a interrogarci sul senso della vita, sul valore della conoscenza e della storia, sul rapporto tra conservazione e progresso (o, come oggi va di moda, "sviluppo"). Per rispondere ci facciamo accompagnare dal regista nell'esplorazione (commovente) di un micro-sistema pre-industriale, pre-tecnologico, pre-scientifico (...pre-televisivo etc ) che ancora oggi sopravvive e si staglia come un'isola felice, al riparo dalla ormai inarrestabile marea distruttiva dell'urb-artificializzazione del (prezioso quanto oltraggiato) paesaggio della nostra nazione. E sembra un miracolo. Da qualche parte, in questa nazione che vota Berlusconi e canticchiando va alla deriva, si compiono gli ultimi cicli naturali della pluri-millenaria tradizione umana: un vecchio pastore malato approda alla morte (nel suo letto!!!); un capretto viene alla luce e in una delle sue prime uscite col gregge resta indietro e si perde (facile preda); l'abete più imponente viene sacrificato per celebrare l'antichissimo rito della festa di paese e poi venduto ai carbonai, che da tempo immemore sanno trasformare la legna in carbone. Fuori da questi cicli naturali (in cui l'uomo si integrava con la natura), non c'è che la linearità unidirezionale, produzione-consumi-rifiuti, imposta dalla rivoluzione industriale.
Quando tutto questo sarà distrutto e dimenticato, che cosa resterà di noi?

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