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lunedì 31 ottobre 2011

Tysannosaur: a serious animal


Ieri pomeriggio ho assistito alla proiezione di Tyrannosaur (2011) di Paddy Considine, al film festival di Roma. Ora so che scatenerò un’onda di sdegno collettivo, visti gli entusiasmi che il film ha alimentato, ma devo dire che mi aspettavo di più. E dire che il produttore del film aveva a suo modo avvertito la platea prima dell’inizio del film (“Allacciatevi le cinture di sicurezza”), ma non l’avevo preso alla lettera, non mi aspettavo un parco divertimenti, o un giro sul circuito di Indianapolis. Mi aspettavo di più.

Il film, invece, (pur ben fatto) è un parco divertimenti (e il titolo, è un ulteriore avvertimento che ho compreso solo dopo). Rischiando di scatenare proteste furibonde, dirò che il film si riduce a una sorta di Giurassic Park, di serraglio dell’Inghilterra di oggi (e direi anche di ieri e avanti ieri), una specie di zoo (ammettiamolo: quanto ci piacciono gli zoo!) in cui, invece di animali esotici, si aggirano i mostri della porta accanto e fanno anche molti danni, sempre a discapito di se stessi e di tutti (soprattutto i più deboli) e a vantaggio proprio di nessuno.

Joseph (Peter Mullan). Fonte: Google Immagini
Hannah (Olivia Colman). Fonte: Google Immagini

James (Eddie Marsan) Fonte: Google Immagini

Senza nulla togliere alla bravura degli attori, ci sono alcune riflessioni sulla storia che vorrei fare.

Joseph e James sono lo stesso personaggio-bestia visto in tempi diversi (anche Joseph era stato violento con la moglie e incapace di amarla, non c'è che uno sdoppiamento temporale). Quanto a Joseph e Hannah, anche in questo caso, non sono altro che lo stesso personaggio-bestia, ulteriormente sdoppiato dall'autore (uno sdoppiamento spaziale in questo caso), per rafforzare un concetto semplice come l’acqua: quando l’odio e la rabbia (sì la rabbia, non l’ira) crescono oltre un certo limite, l’essere umano è capace di cattiverie inimmaginabili, ineffabili. A ben guardare le differenze tra i due sono solo apparenti: lui non crede in-niente-di-niente, lei crede ciecamente in un dio creatore assoluto infinitamente perfetto, buono e misericordioso. Insomma entrambi hanno smesso di farsi domande serie probabilmente da molto tempo (almeno così sembra). Hanno smesso di farsi domande sul senso delle loro esistenze:
-          per Joseph è chiaro fin dall’inizio del film che ormai il senso della vita è distruggere la propria vita per espiare la Colpa per il troppo male compiuto (nei confronti della moglie, del cane e di chissà quante altre vittime, di cui non ci è dato sapere) e il film finisce senza che sia cambiato molto (o forse no, ma, boh! chissà...);
-         per Hannah, che avrebbe solo (solo?) voluto essere una mamma e una moglie perfetta (ma, toh! sorpresa! la vita è cattiva, riserva brutte sorprese), il senso della vita diventa distruggere la propria vita per espiare la Colpa di cui arriva a macchiarsi cammin facendo tra una preghiera e l'altra e un po' di alcol di troppo.

Non potevano che macchiarsi di quella colpa? E chi lo dice? Certo il vuoto di senso (...non sarò mai una moglie e mamma perfetta...un marito perfetto) è spaesante ed è più facile annullarsi nel nichilismo autodistruttivo o in una fede cieca che ti impone di calarti nei panni della vittima. Fatto ciò hai ridotto la tua vita (crogiolo delle infinite possibilità) a solo due possibilità: 1) fare la vittima fino in fondo, cioè fino al martirio, oppure 2) ribaltare i ruoli e diventare il carnefice del tuo carnefice.

E finisce in questo stesso tunnel, in un altro (bel) film dei nostri non facili tempi dal titolo “Et in terra pax” - quasi il gemello italiano di Tyrannosaur - il personaggio di nome Marcolino, che ingoia giù rabbia a vagonate, nel silenzio medita vendetta e l’unica possibilità che si riserva alla fine è la distruzione dei suoi stessi carnefici, a cui non era stato in grado di ribellarsi altrimenti.

Quanto mi manca il "serious man" dei fratelli Cohen, vittima della Vita lui, mica di se stesso, delle paure o delle proprie psicosi (la Vita, l’unico vero inevitabile ineliminabile carnefice). Mi manca perché almeno lui era un uomo. Un uomo si interroga, magari inutilmente, ma lo fa, perché non può non farlo se è un uomo. Un uomo sceglie, non risponde solo agli istinti, non si mette nella gabbia (la vita lo fa per lui, lui cerca di uscirne semmai, magari fallendo, ma…). Se in questo film qualcuno dei personaggi si interroga, fa in modo di non farcelo sapere o vedere, mentre mostra solo il suo lato animale (piange, ride, odia, si incazza, si sfoga, ammazza, si placa - per un  po'-).

Per quanto mi riguarda, dico: basta con gli zoo. (“Se vinco alle scommesse voglio comprarmi uno zoo, mi piacciono gli zoo...”, dice un amico di Joseph nel film). Anche a me piacciono gli zoo, ma ora basta, ne ho visti abbastanza. Sarebbe bello investire risorse per raccontare storie nuove. Storie di uomini, non di animali. Questa stessa storia sarebbe andata diversamente se i protagonisti, invece che darsi ormai per spacciati, si accorgessero l’uno dell’altro (imparando magari come si fa, dal personaggio – straziante e vero – del bambino, che è ancora in grado di fare ciò che gli altri hanno rinunciato a fare ovvero comunicare - con le parole e con i disegni - ).

O forse (dico forse) Joseph e Hannah cominciano pure a comunicare, ma solo quando il film finisce. Allora avrei pagato il biglietto per il film sbagliato, perché il film che avrei voluto vedere è quello che comincia dove finisce questo e (bella fregatura) mi tocca farmelo da me.

2 commenti:

  1. La metafora animalesca è calzante. Ma non tutti si interrogano. Non tutti gli animali sono evoluti allo stesso modo. Non tutti vedono lucidamente le alternative. A volte si è in trappola e basta, senza vie d'uscita accettabili. Il film è assolutamente lucido e coerente nelle sue premesse e nella sua risoluzione. E non è affatto vero che i personaggi non si accorgono l'uno dell'altra. I due protagonisti si avvicinano, si respingono, si riflettono, si attraggono, si rifutano proprio perché SI RICONOSCONO COME SIMILI. Tyrannosaur è sì uno zoo degli orrori umani, ma è anche e soprattutto un racconto potente, condotto con grandissima sapienza ed attenzione psicologica (anche al melieu ambientale e sociale), forse leggermente "ad effetto" ed eccessivo, ma c'è tantissima umanità in questi ritratti. E nessun moralismo. Non sempre le storie che vediamo al cinema son sempre quelle che vorremmo sentirci raccontare. Quello che bisogna chiedersi è: a questo racconto ci credo o no? Funziona? E Tyrannosaur funziona su ogni livello.

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  2. Proviamo.

    Domanda: "ci credo o no? funziona?"
    Risposta: eccome, ma non serviva un altro film per convincermi che siamo fermi all'Età della pietra, basta guardare il telegiornale per capire come funzionano le dinamiche di questa umanità bestiale che non vede alternative e vie d'uscita al fare/farsi del male senza capire perché.

    Ma se davanti a uno schermo ci ponessimo anche un'altra domanda tipo: "cosa mi fa vedere di nuovo? cosa demolisce di quello che credo di sapere?"
    Io voglio sentirmi raccontare non qualcosa che mi convinca di quello che so, ma che mi mostri dove mi sbaglio. Voglio poter dire: "ah però! non ci avevo pensato"

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